Il ruolo e le competenze dell'infermiere nella valorizzazione della spiritualità durante l'accompagnamento del paziente morente

Autore tesi: 
Valentina Barbato
Anno accademico: 
2018/2019

MOTIVAZIONE E PROBLEMATICHE
Durante le esperienze di stage, rapportandomi con pazienti in accompagnamento al fine vita, è emerso come l’uomo sia un essere complesso, non riducibile nelle sue parti. La dimensione spirituale, parimenti alle altre, ricopre un ruolo fondamentale per formulare percorsi di cura appropriati. In ambito sanitario le problematiche che si rilevano rispetto alla spiritualità sono: utilizzo dei termini spiritualità e religione come se fossero intercambiabili e di analogo significato, erudizione rispetto alla dimensione spirituale tuttora disomogenea, difficoltà nel cogliere il significato di spiritualità dell’altro, complessità nel definire tale dimensione.

BACKGROUND TEORICO
L’essere umano si caratterizza per la presenza simultanea di quattro dimensioni, ovvero quella biologica, psicologica, sociale e spirituale. La spiritualità è parte costitutiva dell’uomo, forza creatrice e vitale che permette alla persona di affrontare le incertezze della vita, soprattutto quando sopraggiungono condizioni esistenziali che possono compromettere la salute dell’uomo irrimediabilmente[1]. Approcciarsi a tale tematica risulta arduo, poiché non si riconoscono delle definizioni univoche che determinino questa dimensione, così come vi è una diffusa tendenza ad utilizzare i termini spiritualità e religione come se fossero intercambiabili[2]. Per spiritualità s’intende un’esperienza esistenziale insita in ogni essere umano, che si riferisce alla sua interiorità e permette un’elevazione del pensiero oltre a ciò che appare immediatamente riconoscibile[3]. La stessa accomuna tutti gli esseri umani, con caratteristiche differenti, e non è presente unicamente in coloro che professano una religione[4] Per religione invece si parla di un’istituzione sociale creata dall’uomo e organizzata, in cui si riconoscono ritualità, pensieri e valori comuni a coloro che la seguono.
La dimensione spirituale è trattata sia nei manuali di medicina sia di infermieristica, tuttavia in quest’ultimi si riconosce un interesse non solo volto all’impatto che la quest’ultima può avere sulla persona, ma vengono compiute delle riflessioni rispetto ad interventi che possano valorizzarla5. Con la nascita delle cure palliative la spiritualità è diventata parte integrante e riconosciuta delle pratiche infermieristiche, per cui il professionista dovrebbe promuovere un equilibrio fra corpo-anima-spirito che permetta al paziente di riconoscere le proprie risorse interiori[6]. Cosa s’intende per corpo-anima-spirito? Il teologo Mancuso e il filosofo statunitense Wilber descrivono il processo evolutivo di ogni essere umano che lo porta ad attuare un pensiero transpersonale: entrambi gli studiosi convengono sulla presenza della spiritualità, come espressione del processo identitario in espansione[7]. In letteratura emerge come non vi sia un approccio univoco per sondare questa dimensione, tuttavia sono principalmente tre i modelli di presa a carico: il modello tecnico, il modello relazionale, il modello integrato e interdisciplinare[8]. Il primo utilizza degli assessment specifici che guidano il personale verso la conoscenza dell’altro, è di semplice impego e può essere adottato anche da coloro i quali non hanno molta esperienza in quest’ambito. Il rischio maggiore che si rileva è la possibilità di violare l’intimità altrui e la non individuazione di segni di sofferenza riferiti a questa sfera. Il modello relazionale prevede la conoscenza della storia del paziente attraverso la narrazione del suo vissuto: è un metodo vantaggioso e, trattandosi di un approccio umanista, le informazioni apprese sono integrate le une con le altre, evitando così la parcellizzazione; un punto a sfavore si identifica con l’eventualità di una mancanza di chiarezza rispetto ai ruoli di coloro che partecipano alla narrazione, con il rischio che ciò che viene espresso possa essere contaminato dal pensiero dell’altro, favorendo il proselitismo. Il terzo approccio prevede la presenza di uno specialista in materia che sondi questa dimensione, così da evitare i rischi sopra citati e favorire il riconoscimento di questa sfera da parte delle istituzioni. Il fine vita, passaggio esistenziale progressivamente istituzionalizzato, si definisce tale quando i meccanismi di autoregolazione della persona sono esauriti e si avrà come esito il decesso dell’individuo[9]. La terminalità è una condizione che coinvolge tutte le dimensioni umane e le cure da erogare sono incentrate sul miglioramento della qualità di vita, alleviare la sofferenza, favorire il comfort, adeguando i progetti terapeutici in iter[10]. In questa fase è importante gestire la sintomatologia fisica e altresì integrare il benessere spirituale nelle cure ricercando, congiuntamente all’assistito, un senso al vissuto corrente[11]. Non è possibile scindere il corpo dall’essere di una persona e le sintomatologie che si manifestano nella malattia sono sia di carattere fisico, sociale, psicologico che spirituale e vanno a influenzarsi reciprocamente [12](Clark, 1999; Jacquemin, 2009; Krikorian, Limonero, & Maté, 2012). L’afflizione di tipo spirituale è quella che maggiormente
debilita il paziente nel fine vita e la comparsa di depressione, disperazione e paura del futuro è il frutto di un distress spirituale accentuato che impedisce di integrare il significato della propria esistenza e di conseguenza porta ad un isolamento sociale[13]. Avvicinandosi al termine della propria esistenza nella persona si avvia un processo di trasformazione, di ricerca rispetto all’essere in questo mondo e la spiritualità assume così un ruolo determinante ed è un mezzo potente in grado di offrire ampiezze illimitate al pensiero, tanto da permettere alla persona malata di ritrovare nella quotidianità nuovi stimoli per una crescita individuale [14]. Si riconosce un percorso naturale del processo spirituale suddivisibile in una serie di tappe, utili per individuare il punto di consapevolezza in cui una persona si colloca rispetto alla propria condizione[15]. Da uno stato in cui si acquisisce consapevolezza della finitezza, si passa ad una
perdita di significato e lutto in cui il paziente capirà che prima o poi dovrà lasciare i suoi cari. La persona arriverà in fasi successive a vivere un’esperienza di connessione ed integrazione di significato, dove verranno stabiliti dei nuovi obiettivi e in cui l’assistito vivrà maggiormente nel qui ed ora. Riconoscere la sofferenza spirituale e prendersi cura dei bisogni insoddisfatti che minacciano questa sfera, migliorerebbe stati d’animo quali ansia, depressione favorendo un sollievo da sintomi preponderanti anche di natura fisica[16]. Comprendere la dimensione spirituale del degente aiuterebbe il curante a capire se vi siano delle credenze, convinzioni o situazioni che possano incidere sul proseguimento di una terapia, o se si riconoscono degli ostacoli che rendano incomprensibile la situazione[17]. Per riuscire a mettere in pratica quanto finora descritto è indispensabile che anche il curante sia a conoscenza di quale sia la sua dimensione spirituale, quali siano i valori che guidano il suo agire e agevolare così una connessione profonda con il curato[18]. Per prendersi cura di una persona e cercare di cogliere il detto, il non detto, i suoi pensieri più intimi e mettere in evidenza i significati soggettivi dell’altro, bisognerebbe andare al di là del binomio che vede contrapposti i termini salute e malattia, praticando una modalità di cura detta transpersonale, ovvero un tipo di presa a carico in cui non ci si sofferma unicamente sulla dimensione biologica ma si cerca di trascendere lo spazio e il tempo della pratica, cogliendo significati profondi che permettano una lettura più ampia della realtà[19]. Si riconosco dei limiti operativi per poter sondare la spiritualità: la medicina tradizionale, fatta di regole e protocolli, potrebbe scontrarsi con la dimensione più personale dell’essere umano, così come una carente conoscenza rispetto a tale tematica non spingerebbe i professionisti a sondarla e integrarla nel percorso assistenziale, a causa della diffidenza e poca familiarità con l’argomento[20]. Per poter capire cosa sia la spiritualità per chi assistiamo è necessario disporre di tempo, accedere a
corsi mirati, condividere esperienze lavorative e coltivare la propria dimensione spirituale[21] .

DOMANDA DI RICERCA E METODOLOGIA
Rispetto alle considerazioni emerse nel background teorico la domanda di ricerca nello specifico risulta la seguente: qual è il ruolo dell’infermiere e sue competenze nella presa a carico e valorizzazione della dimensione spirituale del paziente morente? Da questo quesito sono risultati tre obiettivi di ricerca:
- Analizzare la dimensione spirituale del paziente morente come risorsa di cura
- Definire le competenze proprie dell’infermiere nella gestione e valorizzazione della dimensione spirituale nel fine vita
- Analizzare le implicazione della dimensione spirituale del curante e del paziente in accompagnamento al fine vita
La metodologia adottata è una revisione narrativa della letteratura nella quale, al fine di rispondere agli interrogativi sopracitati, sono stati considerati articoli reperiti sulle banche dati di Pubmed e CINAHL (EBSCO) grazie alla combinazione di precise keywords, alla consultazione dei similar articles e all’adozione della strategia denominata “ancestry approach. In aggiunta agli articoli scientifici questa revisione ha incluso nella discussione libri di testo inerenti la tematica.

DISCUSSIONE
La presa a carico della dimensione spirituale richiede che fra curante e curato vi sia una parziale identificazione e una presa d’atto di tale dimensione perché venga compresa[22]. La spiritualità non è una nuova frontiera, sebbene negli ultimi decenni si sia assistito ad una marginalizzazione dell’importanza di questa sfera a causa di una progressiva tecnicizzazione della cura[23]. Nel momento in cui si assiste ad un distress di tale matrice l’infermiere dovrà entrare in azione, per ristabilire delle priorità congiuntamente al paziente al fine di uscire da uno stato di malessere e migliorarne la condizione[24]. Fronteggiando una malattia in fase terminale l’assistito vivrà un cambiamento di priorità, motivo per il quale il curante sarà chiamato a rimodulare il piano di cura perché il volere del curato abbia una corrispondenza nel quotidiano agire[25]. Gli sforzi spirituali si propongono come le uniche porte aperte rimanenti in grado di restituire una buona qualità di vita laddove non sono più possibili degli interventi mirati alla guarigione[26]. Un obbligo del professionista della cura, come l’infermiere, consiste nel cercare di ridurre l’angoscia provata dall’ammalato, considerando il distress spirituale anche quando quest’ultimo si manifesta sotto forma di sintomatologia fisica o psicologica[27]. Si riconosce una relazione positiva fra benessere spirituale e miglior qualità di vita, tanto che la cura spirituale sarebbe in grado di attenuare la percezione di sintomi disturbanti[28].Una delle necessità primarie in occasione di un accompagnamento al fine vita è ristabilire un equilibrio interiore, considerando che l’uomo, confrontato con la finitezza, sovente fa emergere i propri conti in sospeso, il bisogno di ricongiungersi, perdonare, connettersi con gli altri[29]. L’intervento mirato alla valorizzazione della spiritualità si rivela un carattere essenziale, una responsabilità del nursing per preservare la dignità del malato e l’infermiere diviene il tramite della
risposta biomedica alle esigenze di questa che è la dimensione più intima dell’essere[30]. Un’attribuzione di significato divergente rispetto al concetto di spiritualità potrebbe portare ad incomprensioni e difficoltà nel capire cosa significhi tale sfera per il paziente, compromettendo la relazione fra curante e curato, necessaria per stabilire una buona alleanza terapeutica[31]. Il confronto quotidiano con il paziente, a partire dalle attività assistenziali di base, favorisce la
connessione con l’altro grazie all’ascolto di paure, sogni e dolori espressi[32]. Aiutare e accompagnare un degente nel suo cammino spirituale si traduce innanzitutto nell’identificazione dei bisogni e nella messa in atto di interventi in grado di supportare le azioni dei professionisti della cura[33]. In questa fase della vita così fragile l’infermiere assume il ruolo di comunicatore per comprendere problematiche, conflitti e necessità[34]. La prima fase si traduce nella valutazione della spiritualità servendosi di assessment specifici, per porre delle domande orientative che possano far comprendere cosa sia la dimensione spirituale per il degente che si sta assistendo[35]. HOPE e FICA sono due strumenti di facile utilizzo che grazie a dei quesiti semplici permettono una valutazione iniziale della spiritualità, al fine di gettare le basi per avviare una presa a carico di questa sfera[36]. Le competenze emerse dagli articoli e dai libri di testo sono molteplici e sono soprattutto di
carattere relazionale, come ad esempio supportare il paziente alimentando la speranza, insegnando tecniche di rilassamento o introducendolo alla meditazione, leggendo dei testi sacri e pregando insieme[37]. Comunicare con il paziente è fondamentale per esercitare tali pratiche, così da riuscire a co-creare un percorso di cura: per fare ciò è necessario trasmettere all’altro che si è totalmente presenti per lui (creando uno spazio condiviso), che si è ricettivi sia ascoltando che osservando isilenzio, quest’ultimo utile per favorire la riflessione e aprendo gli occhi rispetto ai molteplici punti di vista presenti nella situazione[38]. È responsabilità dell’infermiere impegnarsi nel miglioramento della qualità dell’assistenza
spirituale, frequentando corsi dedicati alla tematica, con l’obiettivo di interiorizzarla nella pratica, formulando dei percorsi terapeutici mirati all’unicità del singolo e richiedere l’intervento di figure specifiche che possano nutrire questa dimensione (musicoterapisti, guide spirituali, psicoterapisti ecc.)[39]. Nella ricerca si riconoscono delle attitudini che avvicinerebbero il professionista della cura a questa sfera costitutiva dell’essere con maggiore facilità: l’essere sensibili e l’affidarsi alle proprie
intuizioni profonde[40]. La dimensione spirituale viene definita come un territorio sacro, non immediatamente definibile e per poterla approcciare vengono proposti dei comportamenti: non aspettare, accogliere tutto e non respingere nulla, portare nell’esperienza tutto te stesso, imparare a riposare nel pieno dell’attività e infine coltivare una mente che non sa[41]. Questi insegnamenti descritti da Frank Ostaseski, fondatore dello Zen Hospice Project negli Stati Uniti, hanno come obiettivo la comprensione autentica dell’esperienza quotidiana e il coinvolgimento totale da parte del curante in una dimensione così
intima e differente da persona a persona. La relazionalità è l’essenza della cura e la cura spirituale prevede una complessa relazione interpersonale tra infermiere e paziente, dove valori ed esperienze si incontrano in uno scambio fluido[42]. La dimensione spirituale del curante è necessaria perché nella stessa si crei uno spazio di accoglienza del sentire dell’altro: le due dimensioni incontrandosi favoriranno una crescita reciproca, una maturazione che predisporrà il curante ad essere più attento alla narrazione del paziente[43]. Attraverso l’esplorazione della nostra vulnerabile esperienza si può assistere al
passaggio fra “saper fare”, ovvero essere un professionista in grado di mettere in atto degli atti tecnici, a “saper essere”, più precisamente divenire un curante capace di stare accanto all’essere umano[44].

CONCLUSIONI
Nel fine vita è importante che si consideri la dimensione spirituale: per far si che un infermiere riesca ad approcciare questa tematica con consapevolezza è necessario che i curanti possano accedere a corsi di formazione atti a spiegare cosa si intende per spiritualità e che implicazioni essa può avere nel rapporto/progetto di cura[45]. Per effettuare degli assessment precisi il fattore tempo è indispensabile per permettere al paziente di esprimersi con ritmi del tutto personali[46].Non solo gli infermieri specializzati assistono pazienti nel fine vita, ma anche infermieri in cure generali nei contesti di medicina/chirurgia[47]. La ricerca nei prossimi anni dovrebbe focalizzare la sua attenzione nei confronti di reparti ordinari, dove sempre con maggior frequenza si assiste al ricovero di persone che stanno terminando il loro percorso di vita, così da riuscire a capire quali siano le strategie messe in atto dal personale curante rispetto alla dimensione spirituale. L’assistente spirituale è una risorsa indispensabile in ogni contesto di cura ma sarebbe opportuno che non venisse considerata come unica figura in grado accogliere i bisogni relativi a questa dimensione e che quindi intervenissero prontamente anche tutti i curanti coinvolti. Le istituzioni dovrebbero considerare la necessità di inserire all’interno di un team interdisciplinare le guide
spirituali, sia per legittimare l’importanza della presa a carico di questa sfera costitutiva dell’essere, sia per permettere ai curanti di potersi confrontare con professionisti esperti in materia, per dissipare dubbi e incertezze. La cura spirituale non dovrebbe essere limitata solo agli accompagnamenti al fine vita poiché la malattia, qualunque sia la sua natura ed origine, comporta sempre una rivalutazione dei progetti di vita fino ad allora formulati e in questo processo di trasformazione è importante che vengano sempre considerate le esigenze di carattere spirituale.

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[35] Finocchiaro, D. N. Op. cit. Puchalski, C. Op. cit.
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[39] Jobin, G. Op. cit.
[40] Minton, M. E., Op. cit.
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[42] Daaleman, T. P. Op. cit.
[43] Gruppo esperti in cure palliative ch. Op. cit.
[44] Ostaseski, F. op. cit ; Tornøe, K. op. cit; Pinkus, L. op. cit.
[45] Agora spiritual care guideline working group. Op. cit. Puchalski, C. Op. cit
[46] Gruppo esperti in cure palliative ch. Op. ci
[47] Agora spiritual care guideline working group. Op. cit.

Allegato
RMH Rivista per le Medical Humanities numero 49 Maggio-Agosto 2021

Premio Venka Miletic 2019 con la tesi: Il ruolo dell’infermiere nella valorizzazione della spiritualità durante l’accompagnamento del paziente morente

Progredendo con gli studi e gli stage, durante il percorso di laurea in cure infermieristiche, mi sono resa conto che la vicinanza al mondo personale di ogni degente potesse rappresentare la chiave di volta necessaria per formulare un piano di cura personalizzato, efficace e responsivo delle esigenze espresse dal singolo. Assistere le persone che si accingevano a concludere la loro esistenza è risultato fin da subito un compito per me, studentessa appassionata e ancora tanto inesperta, estremamente importante, meritevole di impiego di ogni risorsa personale a disposizione. Osservare i degenti, i loro familiari, i pensieri espressi, mi ha guidato nella stesura della tesi. Il lavoro di revisione narrativa della letteratura è durato un anno, fatto di entusiasmanti scoperte, di impegno su campo a 360 gradi e trasformazione personale. Ottenuta la laurea e presentandosi l’occasione per candidarsi al Premio Venka Miletic ho ritenuto che l’elaborato prodotto potesse rispondere alle richieste poste per una cura improntata all’altro. Curare le persone richiede impegno nel cercare di includere nella pratica aspetti sociali, comportamentali, etici ed espressivi. L’augurio che faccio a me stessa, in questo percorso che spero sarà lungo e ricco di incontri, è di proseguire nel cammino di ricerca con entusiasmo, non dimenticando mai quanto l’unicità del singolo sia fondamentale per raggiungere gli obiettivi di cura.

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