La Persona tra Etica, Morale e Diritto: la Costituzione unico garante della laicità dello Stato

Autore tesi: 
Giuseppe Campisi
Anno accademico: 
2010/2011

Il presente elaborato tratta uno dei principi fondanti della Costituzione dello Stato italiano ovvero quello della laicità dello Stato. Il legislatore Costituzionale cogliendo appieno l'importanza e la portata del suddetto principio lo ha ben esplicitato in vari articoli, elevandolo così ad uno dei principi cardine dello Stato.

L'importanza del principio di laicità trova riscontro in vari campi della vita sociale e politica dello Stato tanto da essere ormai da anni al centro di accesi dibattiti ed interpretazioni a seconda della convenienza di chi "interpreta", deviando così dal dettato costituzionale originario. I temi trattati nell'opera sono l'espressione di una accesa battaglia etico sociale che vede il principio di laicità come unico strumento di salvezza in campi così delicati come quelli relativi all'etica, alla religione ed alla spiritualità. Sono ancora vive nel ricordo della coscienza del paese le tristissime vicende di Eluana Englaro e Pier Giorgio Welby e le battaglie per l'affissione del crocifisso negli uffici pubblici, mentre ancora si discute in parlamento sulle direttive di fine vita, senza riuscire a trovare un compromesso che coniughi il diritto di autodeterminazione della persona con la sacralità della vita. L'elaborato si pone come riflessione analitica sui temi trattati e cerca di individuare la strada secondo i principi Costituzionali in relazione alla giurisprudenza corrente ed alle mutate esigenze della società civile, tenendo conto della forte influenza della Chiesa Cattolica, ed infine proponendo un breve confronto con gli altri paesi europei. La ricerca quindi mira ad offrire un quadro d'insieme della situazione legislativa attraverso l’analisi delle relative proposte di legge e l’individuazione delle possibili soluzioni per l'affermazione del principio di laicità dello Stato nei temi trattati. Della laicità sono possibili almeno tre diverse chiavi interpretative. La prima di esse consiste nella laicità intesa come metodo laico. Questa è la cosiddetta accezione “debole” della laicità, intesa come metodo tollerante di coesistenza delle diverse etiche possibili e come procedura consensuale di decisione nello spazio pubblico, che escluda riferimenti ad autorità esterne superiori (lo Stato, la Chiesa, il Partito, la Scienza, la classe medica, la Famiglia, la Comunità) e faccia appello all’autonomia argomentativa. E’ questa una concezione prepolitica o metapolitica della laicità, alla stregua della democrazia e del liberalismo; tale concezione critica si ispira ai valori del pluralismo, della libertà, della tolleranza, o meglio, del rispetto ed al principio dell’autonomia reciproca fra fede religiosa e politica. La laicità come metodo è basata sul libero e pubblico dibattito, in cui a ciascuno sia garantita la possibilità di avanzare punti di vista ed argomenti e di vederli difesi; ciò appare tanto più essenziale nella società contemporanea, sempre più multietnica, multiculturale e multi religiosa. Il metodo laico implica che gli attori pubblici rinuncino concordemente ad applicare alla sfera collettiva, pubblica e politica i propri principi, verità e valori religiosi ed etici “ultimi”, assoluti e non negoziabili (inevitabilmente configgenti con verità religiose e valori etici ultimi altrui) ed a volerli imporre a tutti i cittadini in forza di legge. Occorre pertanto che nella sfera politica le etiche individuali compiano un saggio passo indietro, lasciando che la politica si dedichi alle questioni “penultime”, demandando le questioni ultime alla coscienza ed all’autonomia individuale. Pur ribadendo l’attualità e la validità della tradizionale distinzione liberale fra dimensione pubblica e dimensione privata, il metodo laico non ha obiezioni di principio da opporre al fatto che le agenzie e le istituzioni ecclesiastiche delle diverse fedi religiose rivendichino un ruolo attivo nel dibattito pubblico; ma ciò presuppone che i soggetti religiosi, nell’argomentare pubblicamente le proprie ragioni, rinuncino ad utilizzare, nella fase deliberativa che porta alla produzione delle leggi, argomenti teologici o di fede e si limitino a servirsi
di argomenti razionali e ragionevoli, confutabili e falsificabili (John Rawls e la sua “clausola condizionale”)*.
La seconda definizione consiste nella laicità intesa come etica laica, che può essere definita anche “laicismo” (che nulla ha a che fare con l’ateismo o con l’irreligiosità). Questa è la cosiddetta accezione “forte” della laicità, che, al di là delle eventuali appartenenze religiose individuali, prescinde da qualsiasi riferimento al divino ed al metafisico ed individua un filone comune di idee di fondo e di principi che si traducono poi in alcune posizioni sostanziali. Essa si riassume nell’espressione “etsi deus non daretur” (“come se dio non ci fosse”, o, meglio, “anche se dio non ci fosse”), risalente a Grozio, l’umanista padre del giusnaturalismo, approfondita dal teologo protestante Dietrich Bonhoeffer e recentemente ripresa da Gian Enrico Rusconi: in tale concezione della laicità si possono legittimamente riconoscere credenti, non credenti e diversamente credenti. Si tratta di una laicità “attiva”, rispettosa della libertà e dell’identità di ciascuno, che parla alle coscienze dei singoli cittadini, per ampliare la fruizione di diritti civili a chi non ne gode, per estendere “diritti di cittadinanza” a chi ne è escluso, per aprire per tutti e per ciascuno nuovi spazi di libertà, in una società aperta, accogliente ed inclusiva. L’etica laica è intrinsecamente antidogmatica, liberale e libertaria (in quanto amplia le possibilità di scelta degli individui); un’etica “della qualità della vita”, che mette al centro della propria azione non tanto “la persona” (con i rischi di un personalismo astratto, come quello cattolico), quanto piuttosto “l’individuo”, inteso non in senso atomistico o stirneriano**, bensì in relazione agli altri individui (un individuo sociale in carne ed ossa, hic et nunc). Un’etica, in definitiva, fondata sul principio dell’autonomia libera e responsabile, che individua i suoi limiti nel non causare danni a terzi; occorre precisare che la prima definizione della laicità non contraddice la seconda, essendo l’una (la laicità metodologico - procedurale) il prerequisito dell’altra (la laicità sostanziale o etico-filosofica) e quindi costituiscono entrambe la premessa per la terza chiave interpretativa.
La terza definizione consiste nella laicità delle istituzioni. La laicità, intesa come neutralità delle Istituzioni, è fondata sulla separazione giuridica fra Stato e chiese; si oppone allo Stato confessionale e allo Stato etico, cioè allo Stato che assume come propria una determinata etica (religiosa, filosofica o ideologica) e ne privilegia i fedeli rispetto ai seguaci di altre etiche. Lo Stato laico di diritto, nel produrre le leggi, deve preoccuparsi non di prescrivere comportamenti informati ad etiche di parte (come pretenderebbe la Chiesa cattolica), bensì di aprire nuovi spazi di libertà ed opportunità di scelta ai cittadini, portatori di etiche individuali differenti: né occorre realizzare un ethos pubblico condiviso (magari deciso dallo Stato!), quanto piuttosto la capacità di far coesistere pacificamente differenti ethos divisi e divisivi. In uno Stato laico, il legislatore non si preoccupa tanto del fatto che le leggi rispondano alle categorie di “morale/immorale”, “bene/male”, “giusto/sbagliato”, quanto piuttosto a quelle di “utile/inutile”, “opportuno/inopportuno”, “ragionevole/irragionevole”, operando spesso secondo il principio del male minore e della riduzione del danno. Assumendo queste definizioni come punto di partenza per l'analisi delle problematiche relative ai temi da trattare possiamo certamente avere uno strumento idoneo ad interpretare le varie chiavi di lettura. Infatti solo in questo modo sarà possibile analizzare i temi oggetto di dibattito da un punto di vista "avulso" e scevro
da interferenze confessionali ed estremiste.

Note:

* J. Rawls, " Esame di un’ idea di ragione pubblica - il diritto dei popoli", Ed. di Comunità, Milano, 2001
** Max Stirner, " L'unico e la sua proprietà", Ed. Fratelli Bocca - terza edizione, 1921, Torino.

Bibliografia
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