Via libera in Gran Bretagna alle linee guida che depenalizzano l'assistenza al suicidio

In Gran Bretagna, alla fine di febbraio, Keier Stamer, direttore dei procuratori d’accusa del paese ha stabilito le nuove linee guida in merito alle pene e ai procedimenti a cui andranno incontro le persone che aiutano i propri cari a morire.

Infatti chi assisterà per motivi di compassione un malato terminale che ha deciso, senza subire pressioni, di morire, e non guadagna nulla dalla sua morte non verrà con ogni probabilità accusato in un tribunale di Inghilterra e Galles.

Queste nuove linee guida sono state dettate dalla necessità di dare una chiarificazione alla legge attualmente in vigore nel Paese, gli stessi Law Lords, la massima istanza giudiziaria britannica, ne aveva difatti decretato la necessità negli ultimi tempi.
Starmer, comunque, nelle sue dichiarazioni ha più volte sottolineato e ribadito che l’attuale legge, che vieta il suicidio assistito e prevede una pena massima di 14 anni di carcere per chi aiuta qualcuno nel suicidio resta sempre in vigore, e che nessuna autorità intende legalizzare l'eutanasia nel Paese.

La legge attualmente in vigore, tuttavia, fornisce discrezionalità ai magistrati, infatti non si possono dimenticare gli oltre 100 cittadini britannici che negli ultimi anni hanno di deciso volontariamente di metter fine alla loro vita nella clinica svizzera Dignitas, i cui parenti o amici, coinvolti nella loro fine, non sono mai finiti nelle aule di un tribunale.

Le nuove direttive cercano di comprendere e valutare le circostanze in cui l’atto viene commesso, poiché chiedono di valutare se la persona che potrebbe esser accusata ha agito per compassione, se ha cooperato con la polizia, e se la persona che desiderava morire aveva le facoltà mentali per prendere una simile decisione. Tutti i sospetti verranno, difatti, obbligatoriamente interrogati dalla polizia.
Questa direttiva non cambia la legge sul suicidio assistito e non apre la porta all'eutanasia”, ha detto lo stesso Starmer. “Non cambia la volontà del Parlamento. Offre un quadro chiaro ai procuratori per decidere quali casi debbano finire in tribunale e quali no”.

La pubblicazione delle linee guida avviene, anche, al termine di una lunga battaglia condotta da Debbie Purdy, malata terminale di sclerosi multipla a placche, che ha chiesto a vari gradi della giustizia britannica di sapere se il marito, il violinista jazz cubano Omar Puente, sarebbe stato perseguitato nel caso in cui l’avesse accompagnata a morire all'estero, dove voleva recarsi per assumere una dose mortale di barbiturici prescritti dai dottori dell'associazione elvetica Dignitas e mettere così fine ai suoi giorni nel momento in cui le sue condizioni di vita fossero diventate insopportabili.

In un’intervista al Telegraph, dopo l’uscita delle nuove linee guida, la donna ha dichiarato: "La cosa importante di queste linee guida è che finalmente chiariscono la differenza fra un incoraggiamento malevolo e un sostegno compassionevole alla decisione di una persona sofferente. Mi hanno ridato la vita e finalmente so che posso continuare a vivere e che non devo prendere una decisione adesso".
Debbie, comunque, ha dichiarato che la sua battaglia non finisce qui, promettendo di continuare a lottare per fare in modo che le linee guida diventino legge.

Anche lo scrittore Sir Terry Pratchett, che poco tempo fa aveva proposto un appello per la legalizzazione dell’eutanasia e l'istituzione di “tribunali del malato terminale”, dove poter ottenere l'autorizzazione a morire si è detto soddisfatto delle nuove linee guida. "Sono davvero contento, credo che sia stato fatto il possibile senza un intervento legislativo. (Le nuove linee guida) prendono in considerazione le intenzioni e le motivazioni di chi assiste una persona a togliersi la vita. Mi piace il fatto che si allontani dall'approccio troppo meccanico delle linee guida preliminari".
Le nuove linee guida però non faranno desistere il noto scrittore, a cui due anni fa è stata diagnosticata una forma rara del morbo di Alzheimer, nella sua battaglia in merito all’emanazione di una legge, da parte del governo britannico, che legalizzi l'eutanasia attraverso il ferreo controllo di speciali tribunali.

Per Sarah Wootton, presidente dell'associazione Dignity in Dying, le nuove linee guida sono una vittoria nel segno del buon senso e della compassione, e un nuovo passo sulla strada che porta verso la legalizzazione della morte assistita. In ogni caso, comunque, sarebbe opportuno secondo la Wootton, un cambiamento della legge, in quanto si è sempre e comunque a rischio di invadenti indagini di polizia dopo aver assistito un proprio caro a togliersi la vita.

Secondo anche Lord Carlile QC, presidente dell'associazione pro-life Care Not Killing, le linee guida non sono così malvagie come ci si poteva aspettare: "La nostra principale preoccupazione era che le linee guida provvisorie si riferivano specificamente a disabili e malati, offrendo loro minore protezione rispetto ad altri gruppi. Siamo davvero felici che le nuove linee guida non menzionino gruppi specifici".

Lo stesso arcivescovo di Cardiff, mons. Peter Smith, che guida la Commissione dei vescovi britannici sui rapporti con lo Stato, ha dato parere favorevole in merito, affermando che c'era la preoccupazione, di fronte alle nuove linee guida che “venisse data minore protezione, con la legge, ai disabili, alle persone gravemente malate e a coloro che hanno precedenti tentativi di suicidio”. C'era anche “il presupposto che il compagno o un parente agissero sempre per compassione e mai per motivi egoistici”. “Questi fattori sono stati rimossi dalle nuove linee guida che ora danno maggiore protezione ad alcune delle persone più vulnerabili della nostra società. C'è anche una maggiore sottolineatura che la legge (sul suicidio assistito, ndr) non è cambiata e che tutti i casi saranno oggetto di inchiesta e che nessuno gode di immunità da un procedimento legale”.

Il parere favorevole dell'arcivescovo è stato però giudicato “molto preoccupante” da Paul Tully, leader della Society for the Protection of the Unborn Children-Pro Life (SPUC Pro-Life), per il quale, nelle nuove linee guida, rimangono dei fattori di “implicita discriminazione” nei confronti dei disabili e dei malati terminali.

La vigilia dell’uscita delle nuove linee guida della procura generale, non era però stata priva di commenti o parole da molte parti, anche lo stesso primo ministro, Gordon Brown aveva espresso la sua opinione contro la modifica della legge vigente attraverso un articolo apparso sul Daily Telegraph, poiché secondo il suo punto di vista “cambiare la legge sul suicidio assistito è troppo rischioso, in quanto si espongono al rischio di subire scelte altrui le persone più deboli”.
Nel suo intervento, Brown ha affermato il diritto di Starmer di chiarire la posizione delle procure, ma secondo lui la legge non dovrebbe essere cambiata dal Parlamento. Creare il “diritto legale a morire” metterebbe una pressione inaccettabile sui malati e sugli anziani, indipendentemente dalle salvaguardie messe in campo.
Diciamolo chiaramente”, scrive il primo ministro,“la morte intesa come opzione e come diritto, attraverso non importa quale processo burocratico possa creare la legge sul suicidio assistito, cambierebbe in maniera fondamentale il nostro modo di pensare alla morte. Il rischio di pressioni - non importa quanto sottili - sulle persone fragili e vulnerabili, che per esempio potrebbero percepire la loro esistenza come troppo pesante per gli altri, non potrebbe mai essere escluso”.

I commenti del premier però non sono stati privi di critiche infatti Debbie Purdy ha dichiarato: “Se le persone possono avere una discussione aperta con i loro medici, allora possono trovare una soluzione alle cose che rendono la loro vita intollerabile. Avere un primo ministro che dice, ‹‹ non mi interessa se il 95% della popolazione pensa che ci voglia una legge ››... credo mostri una mancanza di rispetto per il popolo britannico”.

A cura della dott.ssa Emilia Uccello

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