Mister Morgan

Anno: 
2013
Origine: 
Francia, Germania, Belgio, USA
Durata: 
116'
Regia: 
Sandra Nettelbeck
Interpreti: 
Michael Caine, Clémence Poésy, Justin Kirk, Michelle Goddet, Jane Alexander

Tratto dal romanzo di Francoise Corner “La douceur assassine” (la dolcezza assassina), il film attraversa con sensibilità il lutto di un anziano insegnante di filosofia a cui è morta la moglie, Joan, di cancro. Trasferitisi in Francia dagli USA per vivere gli ultimi tempi di vita della moglie, per non soccombere all’affetto dei figli, soprattutto del figlio, che non la volevano lasciar morire, Mattehw si ritrova solo in una Parigi autunnale, nella cura curata dalla moglie, dove lo scorrere del tempo dalla morte è figurato dalla pila di giornali che aumenta ogni giorno, quando l’anziano impila il giornale raccolto ogni mattina alla sua porta. Joan conosceva il francese, era il suo tramite con la Francia, e la scarsissima conoscenza del protagonista limita notevolmente la socializzazione del vedovo. Sarà l’incontro casuale su un autobus con una giovane insegnante di cha cha cha a dare una svolta al tempo del lutto. Matthew riprenderà la cura di sé, seguirà le lezioni di ballo di Pauline, divertendosi e vicendevolmente leniranno solitudini e perdite in una delicata amicizia intergenerazionale. Il tentativo di suicidio del vedovo, perché la vita senza moglie non ha più senso, riporterà dagli USA i figli, con i quali il rapporto è conflittuale, soprattutto con il maschio Miles, ma più che conflittuale, carente di comunicazione e intriso delle ambiguità del non detto. Come in tante relazioni incancrenite in schemi ormai interiorizzati, è l’arrivo dirompente di un elemento esterno, nel film Pauline, che permette un’altra visione e possibilità all’evoluzione del rapporto, riprendendo un dialogo comunicativo e costruttivo interrotto da tempo tra padre e figlio.
Interessanti le scene in cui appare la moglie accanto a Matthew a sostegno della sua vedovanza ed emozioni, a conferma di quanto nel lutto sia importante per alcuni mantenere un dialogo aperto con il morto, sentirlo accanto a sé. Pauline è per Matthew la crepa da cui entra la luce e che gli permette di ritrovare luminosità nella vita, condividendo sin dai primi incontri l’aforisma di Leonard Cohen: “C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce”. È con Pauline che l’anziano riesce a donare gli abiti appartenuti alla moglie e la casa di campagna condivisa gelosamente con lei.
L’interpretazione della fine del film è lasciata allo spettatore.

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