Rieducare alla morte e al suo valore per riempire di significato la vita anche dopo la morte: ipotesi di realizzazione di un servizio di camere mortuarie e luoghi del commiato a gestione infermieristica

Autore tesi: 
Costagli Tiziana
Anno accademico: 
2009/2010

Introduzione

Come Infermiera più volte mi sono trovata a riflettere su quanto è difficile parlare della morte anche per un professionista della salute. Mi sono resa conto che nella società in generale sembra esserci un’estrema difficoltà ad affrontare questo argomento: è diventato molto più facile parlare di sesso, rispetto ad epoche precedenti in cui era considerato un tabù, piuttosto che parlare della finitezza della vita e di come perseguire i valori che, invece, danno un senso al vivere quotidiano. La morte è stata resa un tabù, si è perso il valore del cordoglio, la sensibilità e la solidarietà nei confronti di coloro che stanno affrontando un lutto, che si trovano a viverlo sempre più in solitudine e quello che fa più orrore, nell’indifferenza degli altri.
Secondo i più grandi filosofi della storia classica l’individuo, nel perseguire le virtù, attraverso le riflessioni filosofiche, seguendo la sua coscienza, diventa consapevole di “esserci” e, ragionando sulla condizione umana, diviene conscio della possibilità ineluttabile della fine del suo tempo.
Esiste una simbiosi tra la vita e la morte, ma per il tempo che viviamo la morte non la consideriamo come una “compagna presente”, anzi, viviamo come se non dovessimo morire mai.
Nei secoli la religione cattolica, dal Medio Evo ad oggi, ha influenzato il concetto della buona e della cattiva morte, soprattutto nella società post moderna in cui l’individuo muore molto spesso in solitudine e nell’indifferenza del gruppo sociale. L’uomo, per difesa, cerca di allontanare il pensiero della morte attraverso la “negazione” fin quando non sviluppa il principio di “realtà”. Pur di non nominarla le ha attribuito, addirittura, dei nomi sostitutivi che sono entrati nel gergo popolare quotidiano.
Si rivela, per tanto, l’importanza di un intervento rieducativo sulla morte per tornare a considerarlo un fatto sociale che permetta ad ognuno di ragionare sulla propria finitezza e sul rispetto della persona che ha rappresentato quando era in vita.
Da un punto di vista etico, morire in ospedale è spersonalizzante sia per la carenza di luoghi che non garantiscono un’intimità tra il morente e i famigliari, sia per la mancanza di spazi che non facilitano il momento del commiato e la pratica dei riti funebri anche per coloro che appartengono ad altre culture.
Riflettendo su questo argomento mi sono chiesta cosa ne pensano della morte gli operatori delle camere mortuarie che ne vivono il contatto tutti i giorni.
La mia intenzione è stata quella di indagare gli aspetti antropologici che caratterizzano la professionalità degli operatori che si prendono cura della persona deceduta, per capire come viene percepita la morte da coloro che ogni giorno si trovano ad affrontarla in prima persona, esplorando direttamente i loro vissuti. L’ambito in cui è stata realizzata l’indagine, sulla base di considerazioni di fattibilità e accessibilità, è stato circoscritto all’Area Vasta Sud-Est della Toscana

Materiali e metodi

Il disegno di studio utilizzato per questa ricerca è stata l’indagine fenomenologica poiché tale metodo permette di descrivere le esperienze di vita così come sono vissute.
L’obiettivo è stato quello di esplorare ed analizzare i vissuti esperenziali con la morte degli operatori delle camere mortuarie e se esiste una formazione dedicata.
Il campione è stato selezionato in base alla rappresentatività delle figure presenti nei Presidi Ospedalieri, alla propositività e all’adesione volontaria da parte degli operatori a farsi intervistare.
A ciascun operatore è stato richiesto il consenso informato in riferimento agli obiettivi della ricerca, assicurando la privacy, la riservatezza dei dati raccolti, sottolineando la loro piena libertà di far parte alla ricerca. Le interviste si sono svolte dal 18 giugno 2009 al 24 agosto 2009 compreso le visite agli obitori dei Presidi Ospedalieri in cui non erano presenti gli operatori addetti alle camere mortuarie per effettuare un’analisi di questi luoghi, il cui risultato è stato riportato in tabelle.
I dati sono stati raccolti in forma anonima e inseriti in un data base utilizzato solo ai fini dello studio.
Le interviste sono state trascritte per identificare i diversi temi e l’essenza dell’esperienza vissuta da ogni intervistato; dopo l’esame delle ridondanze e l’aggregazione dei diversi temi si sono individuate le unità di significato che ci permettono di descrivere l’esperienza vissuta per tutti gli operatori.

Discussione

Dalle interviste emerge che le motivazioni, che hanno spinto gli operatori a svolgere questa professione, sono rappresentate, in larga misura, da motivi occupazionali ed economici, ma emerge anche la sensazione di relativo abbandono degli operatori da parte delle Aziende Sanitarie per la scarsa sensibilità nell’ascoltare le loro richieste che rivendicano un miglioramento continuo del servizio da un punto di vista organizzativo e strutturale perché questi luoghi vengono percepiti poco confortevoli sia dai famigliari delle salme che dagli operatori stessi.
Si ritengono soddisfatti della loro professione perché hanno avuto la possibilità di acquisire una maggior consapevolezza della finitezza della propria vita, dando maggior valore ad aspetti più concreti della loro esistenza, modificando addirittura determinate abitudini.
Hanno una buona adesione al ruolo sia coloro che sono stati assunti attraverso concorsi pubblici che coloro che svolgono questa professione in regime di reperibilità. Nelle interviste di quest’ultimi che lavorano principalmente in altri reparti, emerge la frequente sensazione di poter “curare” per l’ultima volta la persona che hanno assistito per ridargli una dignità. Ciò che accomuna tutto il personale è il rispetto per la salma, la cura per il suo corpo, la consapevolezza di rendere alla salma un aspetto più dignitoso in modo che i famigliari non debbano subire l’immagine della persona cara corrotta dalla sofferenza e dalla morte, il rispetto per il loro dolore.
Gli operatori, spesso, sono costretti a sopportare situazioni di difficile impegno psicologico, derivanti da persone decedute in giovane età, per cause traumatiche e dal difficile rapporto con il dolore dei famigliari, risultando la causa più frequente di stress, tanto da far pensare ad alcuni di loro di lasciare il servizio.
In genere, toccare un corpo senza vita non provoca emozioni particolari, perché per molti è come vestire una persona che dorme, ma è frequente il disagio provocato dai corpi delle salme quando sono state in cella frigorifera per l’aspetto trasudante che ne deriva quando vengono tolti. Inoltre, viene riferita la sensazione che la persona deceduta non possa essere morta realmente e di conseguenza, l’impressione di potergli fare male durante la tanatoprassi.
E’ comune la consapevolezza che la morte fa parte della vita e l’aver acquisito i valori concreti della vita dando poca importanza alle frivolezze, ma dimostrando un maggior attaccamento alla famiglia.
La maggior parte considera la “buona morte” quando sopravviene nel sonno, senza la consapevolezza di dover morire, in assenza di sofferenza, in presenza dei famigliari e dopo aver vissuto una vita abbastanza lunga e di buona qualità.
Invece, alcuni di loro, considerano la “cattiva morte” se c’è sofferenza, soprattutto se riguarda le persone giovani, il morire in solitudine, la consapevolezza di dover mancare nonostante il paziente dimostri un forte attaccamento alla vita.
Nessuno degli operatori ha una conoscenza specifica relativa agli aspetti rituali di altre culture, ma hanno la consapevolezza che le Amministrazioni Aziendali dovrebbero garantire la celebrazione di tutte le forme di sacralità della morte compresa quella non religiosa.
Gli operatori delle camere mortuarie hanno la grande esigenza di una formazione specifica sul tema della morte e del morire, poiché nessun operatore ha mai eseguito corsi di questo tipo.
Dalle interviste emerge fortemente la necessità di una presa di coscienza maggiore del percorso morte al quale va restituita dignità, al pari di altri percorsi assistenziali. Il personale non è preparato e viene lasciato a se stesso ad affrontare il problema della morte, misurandolo sulla propria pelle e sullo scherno dei colleghi, anche le procedure sono frammentate, poco dettagliate e non finalizzate all’assistenza al lutto.
Come processo prioritario di cambiamento deve essere svolta una formazione specifica sul concetto della morte e del morire per facilitare l’introiezione di altre culture che hanno una modalità diversa di percepire la morte. Solo attraverso la formazione e lo scambio culturale è possibile ritrovare il senso della finitezza dell’uomo, percepire la morte come un passaggio, tornare a dare significato al cordoglio e ai processi di lutto per restituire dignità, non solo alla morte, ma anche agli operatori che ne vivono il contatto tutti i giorni.
Le competenze del Coordinatore nel servizio di camere mortuarie si esplicano non solo in ambito organizzativo e gestionale ma soprattutto in ambito formativo attraverso l’analisi dei bisogni formativi, espliciti e impliciti, e l’implementazione di percorsi educativi che favoriscano l’incontro di culture e tradizioni diverse per favorire l’integrazione socioculturale.
L’ipotesi del progetto formativo al quale mi riferisco vuole mirare a ridefinire la cultura della morte e del morire per gli operatori delle camere mortuarie, per il personale sanitario e, a livello delle strutture sociali, attraverso il coinvolgimento dei cittadini. La strategia è quella di istituire uno “Spazio Etico” all’interno del quale i gruppi, in autoformazione, si avvalgono del confronto di esperienze con altri colleghi, con il personale sanitario, con i rappresentanti di culto, di associazioni di cittadini e associazioni di mediatori interculturali. Quanto detto per facilitare l’empowerment negli operatori delle camere mortuarie, mantenere elevata la loro motivazione al lavoro e l’interesse per un miglioramento costante della loro professionalità.

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Sitografia

www.laborcare.net :
- Il corpo come “organismo biculturale” – Laborcare 16 gennaio 2008
- L’Universo uomo: la centralità dell’uomo nell’etica del prendersi cura, l’uomo e la bioetica transculturale – abstract della tesi di Alessandra Trinci - Laborcare 10 marzo 2009.
- L’infermiere e la fine della vita: aspetti socio antropologici della fine della vita – abstract della tesi di Francesca Sermanni - Laborcare 10 marzo 2009

www.ipasvi.it :
- Codice deontologico dell’infermiere 2009

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