Richiesta di un momento di riflessione per il testamento biologico

Giovedì 19 marzo al Senato è proseguita l'analisi del disegno legge sul testamento biologico. Il Sen. Ignazio Marino ha invocato una pausa di riflessione per evitare di approvare una legge "profondamente sbagliata, contro la liobertà degli individui e in contro tendenza con le legislazioni di tutti i paesi europei."

Di seguito riportiamo il discorso fatto dal Sen. Ignazio Marino.

"Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, signor sottosegretario Fazio,
siamo tutti consapevoli che stiamo vivendo un momento molto importante per la vita democratica del nostro Paese. Stiamo vivendo un momento storico; altri Paesi prima di noi sono passati in momenti simili, spinti dalla storia, incalzati da vicende umane drammatiche che avevano sollecitato le coscienze e interrogato l'opinione pubblica.
Davanti a un vuoto legislativo si è sentita in molti altri Paesi del mondo l'esigenza di introdurre regole che andassero incontro ai problemi reali della vita delle persone. I primi ad avviare questo processo sono stati gli Stati Uniti, seguiti da molti altri Paesi, come ci ha ricordato molto bene il professor Veronesi ieri nel suo intervento.
Nel nostro Paese è innegabile vi sia stata una accelerazione emotiva nell'iter di una legge di cui il Senato si stava già occupando per la drammatica vicenda di Eluana Englaro.
Non trovo nulla di strano in questa accelerazione, anche se ritengo che avremmo bisogno di un clima diverso per lavorare e di un tempo adeguato per i necessari approfondimenti; trovo però un'anomalia il fatto che, sull'onda emotiva di una vicenda grave ma personale, il Senato voti una legge profondamente sbagliata, che va contro la Costituzione, contro la libertà degli individui e, signora Presidente, in controtendenza con le legislazioni di tutti i Paesi europei e di tutti i Paesi del mondo.
Facciamo un passo indietro. Il motivo per cui si è sentita l'esigenza di una legge sulle direttive anticipate di volontà è semplice: la Costituzione sancisce un diritto in base al quale nessun individuo può essere sottoposto ad una terapia contro la sua volontà.
Questo diritto non è tuttavia applicato alle persone che hanno perso la capacità di intendere e di volere e con essa quella di esprimersi e di dare il proprio consenso alle terapie. Il motivo, signora Presidente, è molto semplice: i nostri Padri costituenti, scrivendo anche quel mirabile articolo 32 della Costituzione, hanno tenuto conto del momento storico e scientifico in cui vivevano; vivevano nel 1947. Il primo respiratore automatico è stato inventato nel 1952, la prima nutrizione artificiale alla fine degli anni '60: non potevano immaginare che da lì a pochi anni ci sarebbe stata la possibilità di mantenere artificialmente in vita una persona che, però, non poteva più verbalmente esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso alle terapie.
Ci si è posti dunque il problema di garantire tale diritto a tutti, guidati dal principio secondo cui la perdita della coscienza non si possa tradurre in perdita dei diritti.
Assieme a 101 senatori avevo proposto un disegno di legge di cui non si è tenuto conto nella maniera più assoluta.
Quel progetto si proponeva due obiettivi davvero semplici: il primo era scongiurare il rischio dell'accanimento terapeutico, garantendo a tutti la possibilità di lasciare indicazioni sulle terapie considerate accettabili e quelle non accettabili, se un giorno ci si trovasse nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso; il secondo obiettivo era legato al superamento delle difficoltà con cui si confrontano oggi nel nostro Paese i pazienti nelle fasi finali della vita, e mi riferisco alle cure palliative e alle terapie per il dolore.
Purtroppo questa legge non risponde a nessuno dei due obiettivi sopra citati.
Ciò significa che, se entrerà in vigore, un paziente ricoverato in una rianimazione con un tumore in fase terminale, con metastasi al cervello, sottoposto alla dialisi, a trasfusioni di sangue e alla nutrizione artificiale, non potrà essere accompagnato al momento più imperscrutabile della sua vita con la semplice sospensione di tutte le terapie, ormai utili solo a prolungarne l'agonia.
Il medico non potrà chiamare la famiglia e chiedere quale fosse l'orientamento del paziente, quali le sue volontà e prendere in questo modo, in maniera umana, collegiale e trasparente, la decisione se interrompere o meno tutte le terapie ormai divenute futili.
Forse quel medico, secondo la sua preparazione e il suo buon senso, interromperà lo stesso quell'inutile agonia, ma lo farà da solo, in silenzio, senza documentare l'interruzione di tutte le terapie nella cartella clinica.
E questo non è quello che vorrei vedere accadere nel mio Paese. Con la legge che si vuole votare, se una persona lascerà un testamento biologico, il medico non sarà nemmeno tenuto a rispettare quelle volontà: fatto che mi sembra sufficiente per far sì che nessuno scriva mai un documento, sapendo che nel momento cruciale non sarà tenuto in considerazione.
Sul secondo aspetto, l'introduzione del capitolo sulle cure palliative e sulle terapie del dolore, mi pare vi sia da parte della maggioranza un atteggiamento di totale disattenzione ai più deboli.
Il relatore ci ha ricordato che esiste un accordo con la Camera dei deputati, che sta lavorando ad un testo di legge sulle cure palliative.
Per questo motivo una serie di emendamenti presentati in Commissione sanità dall'opposizione sono stati considerati inammissibili.
Sinceramente, mi domando se i cittadini italiani, per cui noi lavoriamo, siano in grado di capire una tale giustificazione e se siano d'accordo sul fatto che un'intesa informale tra i due rami del Parlamento sia più importante di una risposta concreta ai loro problemi oggi, non domani.
È vero che la Camera sta lavorando sulla questione, ma noi conosciamo bene quali siano i tempi e gli ostacoli che si possono incontrare nel corso dell'iter di una legge. Intanto, però, la Lombardia ha 38 hospice e la Sicilia, con 5 milioni di abitanti, soltanto 3.
Senatrici e senatori, vi chiedo di dare un segnale al Paese, alle persone in maggiore difficoltà e almeno di inserire nella legge una norma sulla possibilità di prepensionamento per uno dei due coniugi nel caso in una famiglia vi sia la necessità di assistere un disabile grave o gravissimo, come un figlio o una figlia in stato vegetativo persistente.
Infine aggiungo due ultime considerazioni. L'articolo 3 della legge si occupa dell'idratazione e della nutrizione artificiale, che non possono essere oggetto di dichiarazioni anticipate di trattamento. Nella formulazione attuale, quindi, tali disposizioni si applicano soltanto ai soggetti in stato vegetativo, cioè a meno di 3.000 persone in tutto il Paese.
Ma davvero stiamo facendo tutto questo per una legge che riguarderà lo 0,005 per cento della nostra popolazione? Non voglio dire che siano persone meno importanti, tutt'altro, ma non dovremmo porci il problema anche di tutti gli altri? Che risposte diamo alle centinaia di migliaia cittadini che ogni anno vivono senza tutele le fasi finali della loro esistenza?
Faccio queste affermazioni perché sia chiaro a tutti che la maggioranza non vuole fare una legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento: vuole fare una legge per impedire l'esercizio della libertà ad alcuni individui sulle questioni che riguardano la fine della loro vita, perché questa legge impone ai cittadini una scelta morale, decide per loro, privandoli di un diritto fondamentale.
La scelta di continuare o di sospendere le terapie, e di accettarne le conseguenze, è una questione morale, sarete d'accordo con me.
La legge di uno Stato laico e democratico non deve occuparsi delle scelte morali, ma delle scelte giuridiche, all'interno delle quali la scelta morale possa essere liberamente esercitata da ciascun cittadino.
Io vi chiedo di non approvare questo testo così come è uscito dalla Commissione sanità, perché con esso il Paese andrà incontro a problemi più complessi di quelli attuali: si andrà incontro ad una lacerazione politica profonda, i cittadini si rivolgeranno ai tribunali per vedere rispettati i propri diritti, i medici si troveranno nell'imbarazzante situazione di dover scegliere se trasgredire la legge per tenere fede all'alleanza con i pazienti, che io considero sacra, oppure a venire meno al loro codice deontologico.
Vogliamo davvero tutto questo?
Signor Presidente, fermiamoci a riflettere ancora.
"

A cura della dott.ssa Emilia Uccello

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