IL CORPO COME "ORGANISMO BIOCULTURALE"

Il corpo umano risulta essere il filtro tra mondi e culture diverse, interessante è considerare alcuni aspetti di questo all'interno del contesto di malattia e cura.

Buona parte del contributo di questo intervento si fonda sul percorso di insegnamento svolto nei Corsi di Laurea in Infermieristica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Firenze, nel quale si è cercato di orientare lo studente all’approccio alla Persona non come un “corpo - macchina che si trova in officina per essere aggiustata”, bensì come Fenomeno”(Galimberti). Tale assunto assume importanza nel momento in cui ci si trova a riflettere sul confronto continuo che gli operatori sanitari (e non solo loro) hanno con il Migrante (Manara).
Nel corso della Storia dei popoli la paura di “essere invasi” si è sempre accompagnata a quella di essere “contaminati”, infatti, non è infrequente leggere cronache che riferiscono della comparsa di pandemie a seguito di guerre ed “invasioni barbariche” (Le Goff - Barbero).
Oggi, fatta eccezione di qualche episodio per lo più enfatizzato dai media, la paura della contaminazione è per lo più incentrata sul timore di perdere la propria identità culturale, la propria storia.
Vivere la paura di subire “contaminazioni culturali” ci fa perdere di vista il significato intrinseco della parola “cultura”. La Cultura, difatti, è il risultato di un comportamento acquisito nel tempo atto a fornirci quegli elementi utili alla nostra sopravvivenza (Burnet Taylor). Non è un patrimonio elitario né, tanto meno, trasmissibile geneticamente. Con il termine Culture, invece, si suole indicare l’insieme di tradizioni e comportamenti appresi da ben definiti gruppi specifici (Wulf).
La Cultura investe anche il modo di considerare e di utilizzare il corpo. Ogni cultura, infatti, ha modalità diverse di svolgere atti naturali o di avere cura del proprio corpo che non sempre vengono visti come naturali e condivisi (Remotti).
La malattia, il dolore…la morte assumono significati differenti a seconda del contesto culturale/sociale in cui un uomo vive (Galimberti). Pensiamo, ad esempio, come molte culture vivono il dolore e il corpo nudo. Per quanto riguarda il primo aspetto possiamo osservare che, per la Cultura Occidentale, il dolore spaventa, in quanto viene quasi sempre abbinato alla malattia o alla morte; al contrario, per alcuni gruppi etnici, provare e/o provocarsi dolore non solo è elemento fondamentale di alcuni rituali, ma addirittura, può essere “compreso” per modificare il proprio corpo a fini estetici. Vi sono culture che celebrano l’avvento della pubertà con Riti di Iniziazione che sanciscono, mediante una scarificazione o una “mutilazione” del corpo, il passaggio a ricoprire un nuovo ruolo sociale (Van Gennep). Sono rituali del genere la circoncisione, far saltare un dente (Australia), recidere l’ultima falange del dito mignolo (Sud Africa), tagliare o perforare il lobo dell’orecchio o il setto nasale, praticare tatuaggi o scarnificazioni, tagliare i capelli in un certo modo (Remotti). Fanno parte di questi rituali anche l’escissione del clitoride, la perforazione dell’imene, la sezione del perineo e l’infibulazione (Busoni – Remotti).
Ragioniamo ora sugli atteggiamenti che molte culture assumono nei confronti del “corpo nudo”. Persone occidentali ricoverate nei nostri ospedali sono solite mostrare il proprio corpo agli infermieri e ai medici senza reticenze annullando tutti quei dispositivi tra cui la distanza corporea, che costituiscono delle garanzie d’intimità e di protezione (Galimberti).
Al contrario per chi proviene dal mondo arabo-musulmano, ad esempio, l’inscindibilità del soggetto dal suo corpo comporta una scarsa propensione a questa trasparenza fisica e al sentimento della possibile intrusione dell'operatore come violazione di uno spazio sacro ed inviolabile, un vero e proprio “tabù” (Watt - Manara).
Queste “suggestioni” non solo hanno voluto evidenziare quanto ogni cultura attribuisca al corpo più significati ma, soprattutto, stimolare una riflessione verso il concetto di “corpo sacro” che accomuna tutte le culture.
Allora, perché non riflettere sull’esigenza di estendere la Bioetica anche in senso Transculturale?
Una Bioetica che, “travalicando i confini geografici”, promuova:
- un'educazione alla tolleranza, atta a migliorare la conoscenza reciproca per il rispetto delle differenze;
- un’informazione dell’opinione pubblica circa la situazione socio-sanitaria della popolazione immigrata, unita ad una sollecitazione alle competenti autorità affinché si affronti efficacemente questo problema.
In tale prospettiva sarà sempre di più importante promuovere, in ambito sanitario ed educativo, una “educazione interculturale” che garantisca i diritti di tutti, combatta il pregiudizio e la paura di invasione, capovolga l’ottica che vede il “diverso” solo come portatore di bisogni senza considerarne le risorse (Manara).
Lo scopo finale sarà quello di valorizzare ciascun individuo contraddistinto da una sua Storia, Cultura e dal suo vissuto al fine di evitare “quel pregiudizio” che, sovente, cattura ognuno di noi e che porta alla costruzione di quegli stereotipi che relegano l”altro” in un “limbo” fatto solo ed esclusivamente di solitudine.

A cura di Gianluca Favero ed Emilia Uccello

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