Testamento biologico, si chiede troppo alla Legge

Su L'Unità del 19 ottobre 2011 Stefano Ceccanti parla della situazione attuale della legge e quello che le si chiede. Di seguito l'articolo.

L'itinerario del disegno di legge sul Testamento biologico nella presente legislatura è stato accelerato a partire da un caso giudiziario molto noto. Anzi quel caso aveva persino suscitato un paradossale conflitto di attribuzione delle Camere contro la magistratura, prontamente risolto dalla Corte. Paradossale perché il Parlamento, che non aveva legiferato, rimproverava ai giudici di aver fatto il proprio mestiere, quello di dover decidere comunque per non negare giustizia. Fermo restando che, evidentemente, nessuno in un processo democratico, è infallibile, nessuna concreta decisione, specie quando si muove in un terreno così delicato e privo di riferimenti normativi certi, è al riparo dalla critica. Non si poteva però accusare altri di aver dovuto decidere essendo il Parlamento parte del problema, per la propria inazione.

A quel punto si poteva immaginare che il Parlamento, sia pure in modo proporzionato e ragionevole, volesse ridurre l'incertezza con una legge tale da ridurre la discrezionalità dei giudici, sia pure tenendo conto della specificità dei singoli casi, della non riducibilità del diritto alla sola legge.

Invece registriamo oggi, con l'attuale testo, un'incredibile eterogenesi dei fini. Il testo amplia la discrezionalità dei giudici, aumenta i conflitti spostandoli sul giudiziario. Veramente paradossale per una maggioranza che insiste costantemente, ben al di là di questa occasione particolare, sui rischi del "governo dei giudici".

Per chi è scritta questa legge? Qui sta la radice del problema.
E' scritta per gli incapaci di intendere e volere, secondo quanto si afferma con chiarezza soprattutto dal comma 1 dell'articolo 3, ai sensi del quale, dopo l'intervento emendativo della Camera il dichiarante "in stato di piena capacità di intendere e di volere..esprime orientamenti e informazioni..con riguardo ad un'eventuale futura perdite permanente della propria capacità di intendere e di volere" ?

Oppure è scritta per i soli pazienti in stato vegetativo, o più esattamente quelli per i quali si abbia l' "accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale", i soli a cui improvvisamente e contraddittoriamente il successivo comma 5 restringe l'applicabilità?

Non basta il latinorum della scienza medica, né basterebbe evocare a sproposito l'intento, evidentemente fallito, di applicare con coerenza logica importantissimi principi non negoziabili, costituzionali o di diritto naturale, a sanare la contraddizione di un legislatore che decide di volere e disvolere nello stesso momento, nel medesimo articolo, passando da una platea di tante migliaia ad una di poche centinaia, non scegliendo con chiarezza e univocità.

Non c'è linguaggio specialistico o intento di fedeltà ai principi che possa salvare dalla babele giudiziaria quando un giudice si troverà di fronte a un fiduciario che chiederà l'applicazione degli orientamenti di un paziente con Alzheimer che sta dentro il comma 1 ma fuori dal comma 5 di un medesimo articolo. E quando alcuni giudici acconsentiranno per pazienti incapaci di intendere e volere al rifiuto del più ordinario e proporzionato dei trattamenti sanitari, mentre al tempo stesso dovranno garantire sempre e comunque alimentazione e idratazione alle persone in stato vegetativo, non emergerà un'evidente sproporzione? Non si succederanno le pronunce più varie fino ad arrivare a qualche sentenza della Corte Costituzionale?

Perché è senz'altro vero che nulla è più lontano da un ordinamento, da una Costituzione, almeno dalla nostra, dalla legittimazione della soppressione della vita ed è sbagliato ritenere che siamo divisi su questo con molti di voi che hanno voluto questa legge, ma che non capiscono bene oggi quali siano le conseguenze della legge che hanno voluto. Siamo d'accordo che l'ordinamento nasce per proteggere la vita, si costruisce intorno ad essa, con legami che ci uniscono interno alla sua difesa. E tuttavia in uno Stato liberale, oltre che il dovere di una coerenza normativa (almeno all'interno della stessa legge) c'è un'immunità dalla coercizione, c'è un limite all'intervento sulla persona, quella che l'articolo 32 della Costituzione ferma sulla soglia della sua dignità e che invece questa legge, in sostanza, ferma solo quando il paziente è morto.

Si chiede troppo alla legge e quando alla legge si chiede troppo essa si vendica e finisce col generare proprio quello che per voi è il massimo delitto, il governo dei giudici.

Come ebbi a ricordare in presenza del presidente Cossiga in occasione del dibattito sul conflitto di attribuzioni, proprio lui mi segnalò alcun anni fa il rischio di eterogenesi dei fini nel voler ricorrere confusamente a mezzi coercitivi su base legale citandomi una lettera di Tommaso Moro a un corteggiatore luterano della figlia che gli voleva far impiccare gli eretici. 'Tu vuoi fare un buco nella rete del diritto per andare di là a prendere il diavolo, ma una volta che tu abbia fatto quel buco chi ti assicura che non sia il diavolo a balzare fuori e a prendere te?' Non a caso, imparata la lezione, proprio in materia di libertà religiosa, la Dichiarazione del Concilio Vaticano II Dignitatis Humanae valorizza la nozione costituzionalistica di immunità dalla coercizione.

Voi però volete fare comunque un buco nella rete del diritto per eliminare il governo dei giudici, ma lo avete costruito così male che sarà senz'altro il governo dei giudici a prendere voi e, purtroppo, anche tutti noi, se non vi fermerete in tempo.

Questa legge incerta non è espressione chiara di princìpi non negoziabili, i princìpi non sono saldi e coerenti se si contraddicono palesemente in due commi dello stesso articolo, è invece il veicolo per un'espansione incontrollata delle tendenze al governo dei giudici.

Volere e disvolere allo stesso tempo per un Parlamento degno di questo nome non è un segno di saggezza, è invece il segno di un'abdicazione del proprio ruolo.

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