Un semplice frammento di vita

Poiché il tema della morte e della cura nella fine della vita sono centrali nella professione infermieristica, all’interno del Corso di laurea in Cure infermieristiche proposto dalla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI), é stato strutturato un modulo volto a favorire negli studenti lo sviluppo delle competenze necessarie all’accompagnamento e alla cura del morente e delle persone per lui significative. Sono presentati le finalità e i contenuti del modulo e alcuni estratti degli elaborati composti da alcuni studenti.*

Non sappiamo quasi niente quando iniziamo questo straordinario percorso, o per lo meno pensiamo di sapere, di essere invincibili ma la realtà presto ci porta a fare i conti con noi stessi. Avanziamo i primi passi fra corridoi di reparti, residenze di cura con tutta quella forza che abbiamo accumulato in mesi e mesi di preparazione teorica, di esami che ci hanno fatto vivere con agitazione perché pensavamo di non essere sufficientemente preparati e poi…poi…arrivano le persone a metterci davvero alla prova. Ci inseriamo nella vita di una moltitudine di pazienti quotidianamente, noi con il nostro bagaglio esperienziale e loro con una vita vissuta, talvolta tanto pesante che necessita di un aiuto per essere supportata. Non sempre il nostro lavoro ha come esito la guarigione o la ripresa di una vita tutto sommato normale, seppur con qualche acciacco e cicatrice che sia uomini che donne che assistiamo porteranno con loro; a volte saremo quelle persone che accompagneranno i pazienti nell’ultimo straordinario viaggio che è la vita. Sì, la vita è stupefacente e questa consapevolezza emerge quando si fanno i conti con il morire. Nasciamo, cresciamo e conduciamo le nostre esistenze riscacciando un po’ il termine morte, come se appartenesse a un tempo distante dal nostro, quasi fosse un universo parallelo; un paradosso della vita moderna poiché i mezzi d’informazione di cui disponiamo ci presentano nel quotidiano molte storie che hanno come epilogo il fine vita, in modo più o meno violento, ma probabilmente è la spettacolarizzazione stessa di questi eventi che li rende ancora più distanti. Non c’è nulla di più umano che nascere e morire: due situazioni agli antipodi che ci accomunano a livello universale. Nel primo caso i presenti, che attendono il lieto evento, rimangono a orecchie tese per accogliere un vagito, in modo tale da poter udire con chiarezza il primo respiro vitale; dall’altra parte ci si accosta alla persona cara per percepire l’istante in cui la vita lascia il corpo. In quelle stanze, dove ci si prepara con fermento per l’ultimo saluto, ti confronti con il silenzio ed è una situazione inusuale abituati come siamo ad immergerci in contesti rumorosi per non sentire cosa il nostro essere ci vuole comunicare. Quella calma surreale inizi ad accarezzarla, a familiarizzarci e comprendi che le parole non sono forse l’unico strumento per far capire che si è lì, presenti per l’altra persona, con tutta la nostra vulnerabilità e interezza vacillante. Il tocco assume un’importanza mai avuta prima, mentre s’intreccia una mano sconosciuta alla propria per comunicare alla persona che non è sola, anche quando un parente si prende una piccola pausa per respirare un’aria diversa. Ci siamo, siamo presenti con le nostre incertezze, con una parola detta a metà perché spesso si pensa che una frase qualsiasi possa sembrare solo di circostanza in un momento tanto delicato. In realtà sono proprio questi pazienti che colgono immediatamente le tracce della stanchezza sul nostro volto, che ci domandano cosa ci preoccupa al punto da toglierci il sorriso, insegnandoci che la semplicità è la via che maggiormente ci darà gioia nella vita. Quando diventi partecipe dei loro racconti, qualcosa in te cambia: senti rivivere momenti indimenticabili della loro vita come il primo amore, un bacio mai dato, la nascita di un figlio, le parole mai dette. Proprio in questi frangenti, tornando a casa ti domandi anche tu se c’è qualcosa che non hai voluto esprimere quando ne avevi l’opportunità, ripromettendoti che qualora si dovesse presentare un’occasione simile questa volta oserai esprimendo te stesso, perché la vita non è mai certezza. Avvicinandoti al concetto di morte inizi a conoscere in maniera più approfondita te stesso, a scontrarti con dei limiti che fino a quel momento avevi saggiamente celato sotto l’inconsapevolezza. Palpare la propria finitezza è un duro colpo, una sfida che ti porta a maturare sia sotto il profilo professionale, sia come persona. Gli accompagnamenti sono quell’occasione per accostarti a un mondo di simboli, riti, culture a volte talmente distanti dalla tua realtà da sembrare irreali, come quando accompagnai un uomo sulla settantina, di origine croata. La sua famiglia numerosissima aveva atteso la dipartita intorno al suo capezzale per quasi dieci giorni, instancabilmente, dandosi forza gli uni con gli altri, immersi in preghiere lunghissime che avevano l’aria di una meditazione collettiva. Per noi operatori era arduo isolarsi da quest’atmosfera e compresi con piacere che, contrariamente a quanto pensavo, calarsi totalmente nella situazione non faceva altro che guidare le mie mani in modo più competente, perché quell’amore che saturava l’aria era indispensabile per un momento così importante. Fu così che un giorno, dopo aver invitato i suoi cari ad andare a prendersi un caffè, esalò l’ultimo respiro fra le mie braccia e non riuscii a sussurrare nient’altro se non “buon viaggio, qualsiasi sia la meta”, con gli occhi lucidi. Mi sentii privilegiata in quel momento (sentimento per altro ancora attuale) poiché essere testimoni diretti di un passaggio così cruciale, cercando di essere delle guide rassicuranti è un’esperienza unica. Siamo complessità che si scontrano in questo vorticoso mare vitale nel quale ci tuffiamo tutti i giorni, non privi di timori e per noi infermieri del domani questo viaggio sarà un navigare continuo in acque spesso tempestose, ma che riveleranno poi tiepidi raggi di sole una volta passata la bufera. L’incontro con l’altro diverso da noi che si avvicina agli ultimi istanti della vita ci consegna direttamente nelle mani dei doni, regali fatti di emozioni tangibili, di insegnamenti antichi quanto l’uomo stesso, che con rispetto dovremmo preservare e coltivare, perché possano germogliare in noi cambiamenti costruttivi.
Sta a noi continuare questo cammino con perseveranza, interrogando la nostra sensibilità, il nostro intuito, mettendo in campo quel sapere appreso sia fra i banchi dell’università, sia da chi ci racconta com’è esistere congiuntamente alla malattia, perché laddove si crede ci sia solo sofferenza in realtà si può trovare l’essenza del vivere.

Articolo di Valentina Barbato

*Rif. articolo "Una proposta formativa sulle cure nel percorso di fine vita per gli studenti del corso di laurea in cure infermieristiche. L’esperienza della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI)" n. 15 Laborcare Jornal

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